Coronavirus: quando il mondo è piccolo e interconnesso

Coronavirus: il mondo è piccolo e interconnesso

Nella pratica della mindfulness siamo soliti considerare l’interconnessione con l’intero universo. Ai tempi del Coronavirus, possiamo cogliere l’opportunità di riflettere su quanto il mondo sia piccolo e interconnesso. Per farlo, possiamo servirci di un oggetto qualsiasi che abbiamo accanto a noi, come ad esempio lo stesso cellulare o pc dal quale stai leggendo questo articolo.

Thich Nhat Hanh nel 1989 scriveva a proposito di un foglio di carta:

“Un poeta, guardando questa pagina, si accorge subito che dentro c’è una nuvola. Senza la nuvola, non c’è pioggia; senza pioggia, gli alberi non crescono; e senza alberi, non possiamo fare la carta. La nuvola è indispensabile all’esistenza della carta. Se c’è questo foglio di carta, è perché c’è anche la nuvola. Possiamo allora dire che la nuvola e la carta inter-sono. Guardando più in profondità in questa pagina, vedremo anche brillare la luce del sole. Senza luce del sole le foreste non crescono. Niente cresce in assenza della luce solare, nemmeno noi. Ecco perché in questo foglio di carta splende il sole. La carta e la luce del sole inter-sono. Continuiamo a guardare: ecco il taglialegna che ha abbattuto l’albero e l’ha trasportato alla cartiera dove è stato trasformato in carta. Sappiamo che l’esistenza del taglialegna dipende dal suo pane quotidiano, quindi in questo foglio di carta c’è anche il grano che è finito nel pane del taglialegna. […] Se guardiamo ancora più in profondità, vedremo nel foglio anche noi. Non è difficile capirlo: quando guardiamo un foglio di carta, il foglio è un elemento della nostra percezione. La vostra mente è lì dentro e anche la mia. Nel foglio di carta è presente ogni cosa: il tempo, lo spazio, la terra, la pioggia, i minerali del terreno, la luce del sole, la nuvola, il fiume, il calore. Ogni cosa co-esiste in questo foglio. “Essere” è in realtà inter-essere. Non potete essere solo in virtù di voi stessi, dovete inter-essere con ogni altra cosa.”

Tu, ad esempio, cosa puoi vedere nel tuo cellulare?

La pandemia che stiamo vivendo ci pone di fronte alla verità dell’inter-essere. E, infatti, il contagio era in Cina, poi è arrivato in Italia, nella nostra città… e molto probabilmente un amico di un amico o qualcuno molto più vicino a noi ne è stato colpito.

Il fatto che siamo interconnessi è qualcosa a cui spesso si stenta a credere, eppure la quarantena a cui siamo costretti è la conseguenza proprio di questo.

L’interconnessione nella cultura

Nella nostra cultura ritroviamo diversi artisti che hanno espresso e divulgato il concetto di interconnessione. Fra le produzioni musicali più recenti, troviamo la canzone di Francesca Michielin, Nessun grado di separazione, presentata a Sanremo 2016. Ma andando più indietro nel tempo, ritroviamo il film 6 gradi di separazione, uscito nel 1993 e diretto da Fred Schepisi, in cui vediamo un giovane Will Smith nei panni del protagonista. La pellicola, a sua volta, si ispira a un’opera teatrale del drammaturgo John Guare dal titolo Sei gradi di separazione, andata in scena a Broadway nel 1990. Troviamo, infine, Catene, un racconto scritto nel 1929 dall’autore ungherese Frigyes Karinthy, in cui i protagonisti della storia si sfidano ad entrare in contatto con diverse persone attraverso pochi intermediari, il che porta a riflettere sul fatto che il mondo è piccolo, come si è soliti dire e, soprattutto, interconnesso.

Ma da dove vengono le prime considerazioni scientifiche sull’interconnessione?

L’interconnessione nella scienza

Colui che probabilmente ispirò Frigyes Karinthy è Guglielmo Marconi, che, con i suoi studi sulle onde radio che gli valsero il Premio Nobel nel 1909, riuscì a mettere in contatto una radio trasmittente e una radio ricevente (due persone separate) attraverso un’antenna, riducendo, metaforicamente, tale distanza.

A studiare scientificamente per la prima volta l’interconnessione, furono Ithiel de Sola Pool e Manfred Kochen, due matematici che, dopo un lungo lavoro di studio sulle reti sociali iniziato negli anni ‘60, pubblicarono nel 1978 un saggio intitolato Contacts and Influences e nel quale si legge in apertura “This essay raises more questions than it answers” ovvero “Questo saggio solleva più domande che risposte” (trovi il saggio QUI). Fra gli interrogativi irrisolti c’è appunto quello su quanti gradi di separazione al massimo ci sono fra due individui qualsiasi.

Stanley Milgram raccolse la sfida lanciata dai due matematici e continuò le ricerche sul mondo piccolo, pubblicando i dati raccolti in due articoli, uno divulgativo su Psychology Today nel 1967 (lo trovi cliccando QUI) e l’altro, dal taglio più rigoroso, su Sociometry (lo trovi cliccando QUI).

Lo studio di Milgram

In questo studio Milgram scelse alcuni cittadini americani del Midwest, chiedendo loro di spedire un pacco ad uno sconosciuto del Massachussets, conoscendone solo il nome e lo Stato di residenza. Per farlo, avrebbero dovuto, dunque, inviare il pacco alla persona di loro conoscenza che ritenessero avere più probabilità di conoscere il destinatario. Questa persona, di conseguenza, avrebbe inviato a sua volta lo stesso pacco ad un’altra persona che più probabilmente di ogni altra poteva conoscere il destinatario finale, e così via, in una sorta di staffetta postale. Alla fine dell’esperimento, dei 296 soggetti iniziali, solo 64 riuscirono a far recapitare il pacco al destinatario finale e lo fecero in un numero di scambi che variavano da due a dieci, con una media di 5,2. È da qui che nasce la Teoria dei sei gradi di separazione, secondo cui fra te e una persona qualsiasi, fosse anche Brad Pitt, vi sono solo sei intermediari. 

Sono stati svolti altri studi del genere, alcuni dei quali hanno analizzato la teoria attraverso i social media (clicca QUI per uno studio condotto nel 2011), ottenendo risultati diversi sul numero di intermediari medi.

 

Considerazioni

Ovviamente tale numero non può essere assoluto, né esatto o costante nel corso del tempo, ma soprattutto in questo periodo ci permette di capire che, effettivamente, le nostre azioni possono avere conseguenze su una scala più vasta, viaggiando di persona in persona.

Probabilmente troverai delle attinenze con il concetto di Karma e non sarebbe errato: le nostre azioni si propagano nel mondo e condizionano l’ambiente in cui noi stessi continuiamo a muoverci ed impattano, di ritorno, su di noi.

È un concetto imprescindibile dal nostro vivere in società, dalla nostra convivenza su questo pianeta ed è strano che di solito ce ne dimentichiamo.

Un invito

Voglio raccogliere l’invito di Paolo Giordano, che nel suo articolo Quello che non voglio scordare, dopo il Coronavirus (leggi il suo articolo QUI), elenca una serie di riflessioni che sta facendo in questo periodo e delle quali non vuole dimenticarsi. Per quanto riguarda me, ciò che non voglio dimenticare dopo il Coronavirus è questo:

Non voglio mai più scordarmi che il mondo è piccolo e interconnesso e dell’interdipendenza fra gli esseri viventi, la natura, il pianeta e l’universo. In questa vita, a prescindere da quel che pensiamo noi egoisticamente ed egocentricamente, siamo tutti irrimediabilmente connessi e ci influenziamo LETTERALMENTE gli uni con gli altri.

E tu, cosa non vuoi dimenticare dopo il Coronavirus?

 

Bibliografia

  • AIthiel de Sola Pool Manfred Kochen (1978) Contacts and influence. Sociometry, Vol 1, issue 1, pp. 5 – 51
  • Milgram, S. (1967) The Small-World Problem. Psychology Today, vol. 1, no. 1
  • Travers, J., & Milgram, S. (1969). An Experimental Study of the Small World Problem. Sociometry,32(4), 425-443
  • Bakhshandeh, R., Samadi, M., Azimifar, Z., & Schaeffer, J. (2011, May). Degrees of separation in social networks. In Fourth Annual Symposium on Combinatorial Search.

Condividi sui social!