Carnevale: in un mondo ideale, non esisterebbe

Carnevale e ruoli sociali

Come indica la parola, il Carnevale (carnem levare, ovvero “togliere la carne”) è l’ultimo periodo di follia che ci si concede prima di cominciare l’astinenza e il digiuno della Quaresima, durante la quale a nessuno era concesso di mangiare carne. Il perché ci si maschera, però, è da ricercare nelle origini pagane di questa festa, in particolare nei festeggiamenti in onore della dea egizia Iside. Il travestimento, infatti, è utilizzato con lo spirito di concedersi, per una volta l’anno, di essere ciò che non si è, di valicare i rigidi confini dei propri ruoli, di ribaltare l’ordine delle cose. Nel Medioevo, ad esempio i popolani potevano per poche ore divertirsi senza pensieri e sentirsi al pari dei potenti.  

Tutti noi, si sa, abbiamo delle responsabilità: rivestiamo dei ruoli all’interno della società, occupiamo, consapevolmente o meno, un posto nel mondo che comporta delle aspettative. Nella psicologia sociale e nella sociologia la teoria dei ruoli considera la maggior parte delle attività quotidiane come l’espressione di categorie socialmente definite. E ogni ruolo porta con sé diritti, doveri, aspettative, norme e comportamenti che ci si aspetta vengano soddisfatti. Questo crea un certo grado di prevedibilità e controllo in un mondo che, nella realtà dei fatti, è complesso e ricco di sfumature. I ruoli sociali possono essere definiti dal contesto, dalla cultura, dalla professione, persino dal sesso con cui nasce.

Tutti noi, per il solo fatto di essere nati maschi o femmine, siamo soggetti ad aspettative dettate dai ruoli di genere: dalle femmine ci si aspetta che siano gentili, più pronte all’ascolto e all’aiuto, che si sposino per diventare madri e prendersi cura della famiglia; dai maschi, che siano forti, capaci di sostentare la famiglia, che proteggano, che vadano in soccorso delle femmine in difficoltà.

Se da un lato i ruoli che ognuno di noi riveste nella società aiutano a creare un certo livello di prevedibilità, di coerenza e di senso di controllo, d’altra parte è facile finire per credere davvero che la realtà sia così semplice, prevedibile e standardizzata. Figli delle aspettative legate ai ruoli, sono i pregiudizi e le sanzioni: lo vediamo nel bullismo ad ampio raggio, ad esempio, che può assumere connotazioni diverse, come quello omofobico.

La vergogna, l’umiliazione e il disprezzo altro non sono che colorazioni della paura del diverso e di chi, sentendosi troppo stretto nel ruolo che gli è stato assegnato, esce “fuori dall’ordinario”.

L’evoluzione ci sta portando, ad ogni modo, ad un livello sempre maggiore di affermatività e ad una società sempre più liquida: lo vediamo nelle professioni, che stanno mutando e nella libertà di espressione crescente sempre più. Mi rattristo e mi stupisco allo stesso tempo quando mi volto indietro ad osservare che fino a qualche decennio fa il ruolo della donna nella società comportava limitazioni ancora più importanti di quanto lo siano oggi.

Nel mio tascabile sull’assertività “Assertività: come liberarsi dall’approvazione altrui e cominciare a vivere” sottolineo che il termine assertività deriva dall’inglese “to assert”, ovvero affermarsi, farsi valere. 

E quello che mi auguro è che non vi sia bisogno di liberarsi, un a volta l’anno, dai propri ruoli per concedersi un momento di follia. 

Perché in un mondo ideale i ruoli e le maschere restano tali: più simili a canovacci, che a rigidi copioni da recitare a memoria e non rappresentano gabbie da cui si sente la necessità di scappare. In un mondo ideale il carnevale non esisterebbe.

In un mondo ideale, il carnevale durerebbe un anno intero e, magari, giusto per scherzare un po’, una volta l’anno si sarebbe tutti tristi, seri, rigidi e pieni di pregiudizi: giusto per vedere che effetto fa e rendersi conto che è davvero orribile!

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